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Alan Moore: "Fellini ai prezzi di Ed Wood!"

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Alan Moore ritratto da Michael Hacker.
Nel seguito potete leggere la traduzione della "Dichiarazione d'intenti", scritta da Alan Moore, perOrphans of the Storm, la società creata insieme al fotografo Mitch Jenkins con la quale ha realizzato Show Pieces, cinque cortometraggi parte di un progetto cinematografico più ampio, in lavorazione con il titolo The Show.
Orphans of the Stormè anche "coinvolta" nel progetto Electricomics, su cui magari torneremo a parlare prossimamente.
Buona lettura.

La traduzione è stata realizzata per solo scopo divulgativo.
Tutti i diritti originali sono © Orphans of the Storm& Alan Moore.
Che Glicone sia con voi.
Gli attori Andrew Buckley e Darrell D’Silva, Alan Moore, Mitch Jenkins e l'attrice Khandie Khisses.
LA NOSTRA PROMESSA PER VOI
(Un manifesto scritto con il ribollente inchiostro della sanità mentale sopra un milione di cuori delusi)

Un brunito pomeriggio di circa cinquant'anni fa, due perspicaci scolari, i sogni ancora incontaminati da un mondo che prende a calci i castelli di sabbia, stavano distesi all'interno della botte arrugginita di una betoniera nell'incustodito e deprimente cantiere di Northampton che era diventato il loro unico campo giochi, guardando le nuvole vagare senza meta attraverso la circolare apertura del loro scomodo rifugio. Il più giovane dei due, un commovente occhialuto bambino albino che giocava compulsivamente con la nuova macchina fotografica Fischer-Price che gli era stata regalata dal padre per il suo compleanno, parlò con distante tono sognante condividendo le proprie più intime e preziose speranze con il suo più grande, intelligente, bello e adorabile piccolo compagno di giochi.

            “Sai cosa ti dico? Quando saremo grandi ho la strana sensazione che, in qualche modo, ti convincerò a lavorare a un breve film di dieci minuti con me, nonostante tu, a quel tempo, sarai una specie di misteriosa apparizione tipo Ben Gunn che urla la sua condanna contro qualsiasi cosa le persone normali apprezzino, specialmente il cinema contemporaneo.”

           Il suo decenne carismatico compagno, un giovane di una bellezza soprannaturale che era tragicamente afflitto da iperpelosità come quei ragazzi-lupo messicani di cui si legge in giro, mise da parte con cura il quaderno sul quale stava scrivendo i suoi appunti su tutte le grandiose idee per il successivo mezzo secolo che al tempo erano conosciute, ed è bizzarro, come “Compendi Pittografici via Nuvolette Labiali” e replicò al suo anemico collega con un accecante sguardo di rimprovero.
   
            “Se lo farai, renderò la cosa così diabolicamente complicata e la creerò in modo che si espanda in una mostruosità tentacolare che si prenderà la tua vita e infetterà la Cultura stessa come una sorta di ideologico patogeno che nessuno capirà o da cui potrà difendersi.”

            Ora non è importante sapere i nomi di questi due bambini. Il motivo per cui non importa è perché accadde che il tamburo miscelatore contenesse ancora un residuo di cemento fresco che asciugandosi durante la loro conversazione immobilizzò i due che finirono grottescamente affogati durante l'improvviso nubifragio notturno che sopraggiunse. Il fatto rimarca ancora una volta i pericoli posti dai cantieri lasciati incustoditi.

                                                            *****

            Fu così, che per mera coincidenza, circa cinque decadi dopo gli eventi sopra narrati, Mitch Jenkins, fotografo di Northampton, si ritrovò tra le mani una proposta per un film da parte di Alan Moore, scrittore di Northampton. Inclusi nell'onnicomprensiva trama c'erano diversi elementi che rimandavano a nuovi media, ognuno dei quali col potenziale di espandersi in un'entità altrettanto stupefacente ed esauriente quanto il film stesso. Aggrottando la pallida fronte, il celebre maestro delle lenti pensò che una simile varietà di progetti avrebbe necessitato di una qualche “società ombrello” che ne gestisse la complessità, anche se riguardo al nome da dare a una simile impresa si trovò completamente perso. Fu a questo punto che l'imprevedibilmente aggressivo ma abile cesellatore di parole si espresse nel suo tono da medium in trance. 

            “Chiamiamoci Orphans of the Storm, che la gente ci conosca per la nostra mancanza di parenti e per l'aspetto inzuppato di chi è stato colpito da un fulmine.”

            E sebbene avesse capito soltanto una parola ogni dieci di quello che aveva udito, l'abile manipolatore della luce, dell'ombra e dei bagni di sviluppo accettò la proposta, nonostante che per alcuni mesi credette che la loro società avesse preso il nome da una canzone dei Doors.

                                                           *****

            A questo punto dovrebbe essere chiaro che “Orphans of the Storm” non è una canzone dei Doors. Quella era “Riders on the Storm’, un titolo che con la nostra organizzazione ha in comune solo le parole “the” e “Storm”. Andrebbe inoltre chiarito che, nonostante i malinformati pettegolezzi del Web, “Orphans of the Storm” non ha alcun legame con l'antico e misterioso culto babilonese che domina Hollywood descritto in Flicker, il romanzo di Theodor Roczak, che dopotutto è un'opera di finzione e non riflette la realtà. L'idea di una qualche tradizione mistica, sopravvissuta in chissà quale modo, intenzionata a imporre sul mondo una forma di cinema magico capace di alterare le menti è troppo assurda per doverla smentire. E se anche una simile cospirazione esistesse, di sicuro Mitch Jenkins e Alan Moore sarebbero le ultime persone che uno collegherebbe a un piano basato sul cinema magico. Alan Moore non sa nulla di cinema e Mitch Jenkins non sa nulla di magia, per cui come potrebbe funzionare? No, mi dispiace, il solo pensarci è ridicolo. Perché persino parlarne?

                                                         *****

            Ritornando al nostro racconto, avendo concordato sul sopracitato nome come termine collettivo per il loro nidificato insieme di progetti multimediali e incominciando a credere che Orphans of the Storm potesse essere una valida e persino redditizia impresa creativa, il biondo ritrattista di Hugh Laurie si ritrovò ad essere ancora preoccupato su alcuni dei più sconcertanti aspetti del loro piano.

           “Allora, come si collega a tutto questo il burro dietetico? E l'energy drink o la rivista per supermarket? Inoltre, hai messo una soap opera sulla filosofia tedesca. E un social network e un socialmente irresponsabile videogioco e un brand immaginario di t-shirt e un partito politico razzista. Sono sicuro che in qualche modo tutto andrà al suo posto, ma mi piacerebbe capire bene perché lo stiamo facendo.”

    Non era una richiesta irragionevole. Il suo partner annuì con indulgenza.

    “Lo facciamo perché mi sono spinto nella sala macchine della cultura solo per scoprire che non c'è nessuno al posto di guida. La società stava per scivolare sullo spartitraffico centrale di sogni traditi, verso l'imminente furia devastante di un collasso psicologico, per questo ho preso una decisione esecutiva e ho fatto quello che dovevo fare. Gli Orphans of the Storm sono qui per prendere in mano il joystick della civiltà e, dipende dal fatto che se ci siamo ricordati in quale direzione spostarlo, condurla verso una nuova eterea stratosfera oppure, mal che vada, togliere il disturbo in una devastante e gloriosa palla di fuoco.”

            E l'abile levigatore di pixel scrutò a lungo il palese visionario a cui aveva affidato le proprie fortune e quella della sua famiglia. E pensò: “Oh Cristo!”

                                                              *****
    Non vorrei insistere sulla questione ma tornando al culto babilonese di Flicker, ci sono un sacco di ragioni per cui uno scenario del genere sarebbe del tutto irrealizzabile. In tutta franchezza, se esistesse un'antica religione basata sullo stato di trance indotto da una sorta di proto-strobo realizzato con un cerchio rotante e luce naturale - cosa che non è - e se un simile culto fosse persino alla base del cinema moderno - e non è così - allora come la mettiamo con elementi di Orphans of the Storm come i fumetti digitali, il videogioco e i finiti siti pornografici  Big Black Lego Studs? Non hanno nulla a che fare col cinema, no? O con Babilonia, a dirla tutta. Non riesco davvero a capire come la gente s'inventi queste cose. Voglio dire, ma per favore! Siete molto meglio di così.
   
                                                             *****

    Comunque sia, ecco in poche parole la storia di Orphans of the Storm.
Intitolata come un film di DW Griffith con Lillian Gish che nessuno dei responsabili di questa società ha mai visto, Orphans of the Storm vuol essere un'autentica impresa del 21esimo secolo, con un modo di pensare che sia flessibile fino al punto da potersi quasi spezzare. Vi promettiamo estensioni di un'idea, argomentate e ponderate con cura, piuttosto che franchise sfruttati senza pudore. Vi promettiamo Fellini ai prezzi di Ed Wood. Vi promettiamo concept originali che siano all'altezza del loro tempo e non meri cadaveri rianimati tratti dall'intrattenimento leggero del passato, anche se abbiamo pure qualcuno di questi. Vi promettiamo un antidoto ai divertimenti tossici che avete già sconsideratamente ingerito e speriamo in Dio che non sia troppo tardi. E se non possiamo promettervi un mondo migliore di quello in cui vivete, possiamo almeno promettere che sarà più spassoso, più meravigliosamente terribile e meglio congegnato. Gioite, popoli del mondo dai neuroni randellati. Una terrificante utopia è almeno a portata di mano.

                                                           *****

            E non abbiamo nulla a che fare con la Confraternita di Tlön, nemmeno con loro.


[Il testo originale può essere letto sul sito di Orphans of the Storm: qui.]

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